... Scrive Luca Campigotto, a proposito della fotografia: “Il suo autentico, nobile prodigio resta quello di regalare agli esseri umani un’illusione. Confondendo il presente di chi guarda con il passato dove è tenuto ostaggio ciò che si contempla. Quella scheggia d’eternità che ci appartiene, e che chiediamo di rivedere”.
La presenza della storia nel paesaggio - o più precisamente, la presenza del pensiero della storia nel paesaggio – è ciò che Campigotto va cercando nei luoghi: il loro aspetto monumentale (nel senso etimologico del termine, connotato in senso estetico e anche morale) e antico, e dunque ciò che il passare del tempo ha depositato sulla superficie del mondo. Ciò che, anche, si presume resterà, potremmo dire, e saprà epicamente resistere al tempo.
Una costruzione possente, chiara, definisce l’impianto delle sue fotografie per designare le quali si può utilizzare più di ogni altro un termine: scenari. Un bianco e nero netto, senza esitazioni, rafforza il senso della rappresentazione nei termini della veduta, e rimanda all’eroismo della fotografia di O’Sullivan, Jackson, Watkins, oppure al desiderio di respiro che è nella pittura di Friedrich.
In questo lavoro dedicato al Lago di Garda al bianco e nero si è aggiunto, in un processo di integrazione molto interessante e delicato, un colore elettronicamente quasi del tutto deprivato del colore, che nega se stesso e fa dunque severamente ritorno al bianco e nero: come quando il sole cala, il giorno se ne va e lascia il posto alla notte, e il mondo perde i suoi colori e diviene puro chiaroscuro, e il colore non è che memoria. Non a caso Campigotto lavora da molti anni ad approfondire il tema della fotografia notturna, la fotografia del buio e del mondo che si fa bianco e nero (più nero che bianco), e perde colore.
Qui, sul lago, luogo antico e originario, la notte gioca un ruolo simbolico molto importante: rende essenziali i contorni delle cose, elimina gli elementi superflui, per così dire, e mette in evidenza lo scheletro del paesaggio: la grande montagna, l’orizzonte, la struttura dell’albero, le forme principali del dialogo fra terra e acqua, come in una antica incisione, come, all’opposto, nei contrasti netti che possono originarsi sullo schermo del computer quando si elabora l’immagine. Nei grandi scenari, la quinta è la montagna, triangolo scuro che si incunea nell’acqua, vertigine della roccia, profilo controluce, superficie materica che si confonde con il buio del cielo. La terra è nera, gli abitati diventano bagliori nel buio, la casa splende nell’oscurità antichissima e primordiale della storia di questo paesaggio austero.
Campigotto lavora sul verticale e sull’orizzontale, non intesi come facili elementi formali, ma come simboli possenti della vita e della morte, del giorno e della notte, del maschile e del femminile, anche. Malinconia del paesaggio che fu, degli animali che vi si aggirarono anticamente, lento e romantico pensiero sul paesaggio di oggi, sentimento di solitudine di chi lo percorre con la fotografia: questo è il Lago di Garda (un pezzo di mondo allagato che da chiaro si fa scuro) per questo fotografo veneziano amante della storia, del viaggio e della grandiosità dei luoghi.
dal catalogo della mostra Sguardi gardesani, 2004
Roberta Valtorta
Lago bifronte