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Luca Campigotto

Il mio archivio

 

Sono disordinato, da sempre. Ma cerco di proteggere con cura i negativi.
Sui fogli di carta traslucidi che li contengono, disegno le mascherature che ho usato in stampa. Delimito le zone dell’immagine e ci metto dei più e dei meno: “ricordati di proteggere l’ombra in primo piano, aggiungi due colpi di luce al cielo”... I negativi vanno difesi dalla polvere e dal fuoco. Forse, sono la quintessenza della mia memoria. Quello che i miei occhi hanno visto o, almeno, creduto di vedere. Quello che non vedranno mai più.
I provini, invece, non li faccio quasi mai. Stamparli mi annoia, e preferisco fantasticare le luci attraverso i negativi. Ci sono immagini che ho aspettato a lungo prima di stampare, accontentandomi di decifrarle in trasparenza.
Quanto alle stampe, più che al portfolio buono - al contenitore antiacido con le foto spianate e ritoccate con cura - resto legato alle scatole degli scarti. Su quei pezzi di carta, in fondo, riposa l’argento di tante illusioni: idee che ho avuto, cercato di difendere, smarrito. I tentativi, gli errori. Sono scatole Agfa o Ilford, con il nome dei posti e l’anno scritti sù a pennarello. America 1981, India 1986, Marocco 1995... Alla Storia, diceva Fernand Braudel, servono due occhi: geografia e cronologia.
Poi, ci sono le fotoricordo: a mucchietti sparsi qua e là come tracce di Pollicino. Un cuore spalancato al disordine della memoria. Un mondo dove regna, incontrastabile, lo sguardo di chi si è amato. Il sorriso struggente di chi ci è stato vicino. Foto fatte anni prima, alle macchinette della stazione, fissate male, dai colori ormai sbiaditi. Le foto delle vacanze, dei matrimoni. Fondali con fiumi, montagne e piramidi. Il cortile dietro casa ripreso dalla finestra del salotto. Tutto il tempo vissuto fino a ieri, nascosto in una scatola.
Chi fa il fotografo rovista per mestiere ogni giorno nel proprio passato. Come i protagonisti di quel film condannati a inseguire la propria storia “al largo dei bastioni d’Orione”. Rassegnati a un’identità fatta solo di ricordi. Di “preziose fotografie” destinate a restare come controprova che si è vissuti per davvero. Anche solo come parte di una famiglia perduta. Reduci costretti ad affrontare il futuro aggrappandosi a un’immagine del proprio passato.
Così il tuo archivio ti dice chi sei stato, dove sei andato, chi erano i tuoi compagni di viaggio. E ti conduce al confine di un altro archivio. All’immensa raccolta delle fotografie mai fatte. Al deposito di quelle nostalgie che non si possono documentare. Lì dove resiste anche il ricordo della mia prima, scalcagnata utilitaria, mezza sprofondata in un fosso, un pomeriggio d’estate di tanti anni fa...

 

testo pubblicato su Fotostorica, 1999

copyright © 2013 Luca Campigotto

Luca Campigotto

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